Osservazioni sul ritorno al potere dei media.gli effetti a lungo termine
(3.246 palabras - 7 páginas)
Dr. Norberto González Gaitano ©
Pontificia
Università della Santa Croce (Roma. Italia)
Introduzione
Tutta
la storia anteriore alla scoperta dell'agenda setting (McCombs e Shaw, 1972) e
la spirale del silenzio (Noelle-Neuman, 1973, 1984), si può riassumere grosso
modo con la sconfitta dell'ipotesi sul grande potere dei media (teoria dell'ago
ipodermico) e con il conseguente imporsi della teoria degli effetti limitati.
La ricerca sui media ebbe inizio con l'intuizione del enorme potere diessi. Si
cercarono conferme empiriche a questa intuizione. La ricerca empirica cercò
effetti a breve termine e non ne trovò traccia. Per capire questa tendenza
occorre tenere presente la situazione storica: il cinema, la radio, la
propaganda, il contesto storico del periodo di preparazione bellica e delle
ideologie nazista, fascista e marxista, i modelli teorici dominanti della
psicologia behavioristica, ecc. La ricerca finì per trovare una realtà molto
diversa rispetto a quanto ci si aspettava: lo spettatore non era passivo, si
esponeva selettivamente ai media, ne usufruiva secondo preselezioni dettate dai
propri interessi (teoria degli usi e gratificazioni); si vide che fra i media e
il pubblico si frapponevano delle élite che filtrano i messaggi dei media e ne
modificano l'influenza; si osservò che l'audience dei media era articolata e
non reagiva come un corpo unitario ai messaggi dei media. In sostanza, ci si
rese conto che gli effetti di persuasione a breve termine da parte dei media,
quando ci sono, sono scarsi. Si può dire che questa consapevolezza è stata
acquistata a poco a poco in base numerosi studi empirici e ha finito per
imporsi come tendenza di ricerca dominante: i media hanno effetti limitati.
Malgrado
questa spiegazione a grandi linee sia la spiegazione accademica ufficiale che
si è imposta sulla storia della ricerca sugli effetti sociali dei media, va
rilevato che essa non corrisponde alla realtà. Wolf, ad esempio, ha rettificato
posteriormente (1992) (1) l'eccessiva semplificazione in cui la manualistica
era inconsciamente caduta e della quale lui stesso era stato vittima nella sua
prima opera:
1.
L'identificazione del ciclo dell'ago ipodermico è una costruzione accademica
posteriore, originata da un clima culturale alieno alla sociologia e alla
scienza della comunicazione (Wolf, 1992, 31 e ss.). Due esempi confermano che i
sociologi e i ricercatori del tempo non usavano la teoria del modello
ipodermico.
Il
primo è l'indagine della Payne Fund Studies (1933) intorno agli "effetti
dei film sugli atteggiamenti verso la violenza ed il comportamento deviante, le
conoscenze di culture straniere, i modelli di svago tra adolescenti". Il
risultato dell'indagine risulta molto "deludente" rispetto alle
attese sollevate prima della ricerca: gli effetti sono svariati e dipendono di
molti fattori.
Il
secondo riguarda il famoso mito della reazione di panico causata dalla
trasmissione radiofonica di Orson Welles, "Guerra dei mondi". Cantril
ne fece uno studio nel 1940 e ottenne i seguenti risultati: di un'audience
stimata di circa 6 milioni di persone, solo 1.700.000 considerarono il
programma come un programma di informazione e circa 1.200.000 si spaventarono.
Molti, dunque, riconobbero subito la natura di fiction del programma di Welles.
Altri invece no, a seconda della "abilità critica" dei
radioascoltatori (personalità degli ascoltatori, condizioni nelle quali è stata
seguita la trasmissione, clima generale della società americana in quel momento
di forte depressione economica, ecc.).
2.
L'affermarsi del modello successivo, vale a dire il paradigma degli effetti
limitati, viene condizionato da due fattori, che non sono stati sottolineati
abbastanza, come riconosce Wolf (1992, 44): a) La divulgazione manualistica e
didattica ha cancellato le "avvertenze" degli stessi ricercatori che
scoprirono gli effetti limitati. Le condizioni politiche in cui furono fatte le
ricerche accentuarono la tesi che i media non cambiavano gli atteggiamenti
degli elettori, ma li rafforzavano (elezioni del 1940 e 1944: i due famosi
studi di Lazarsfeld). Occorreva fare delle ricerche in contesti diversi,
ripeteva spesso l'autore. b) La stessa metodologia adoperata (la survey)
ricercava effetti a breve termine e non era in grado scoprire altri effetti più
duraturi.
Fatte
queste due precisazioni, riprendiamo le fila del discorso, la
"riscoperta" del potere dei media, "The Return to the Concept of
the Powerful Media" in parole di Noelle-Neumann (1973).
"Oggi
siamo in una fase di rivalutazione del potere di influenza dei media e,
inoltre, lo studio degli effetti ha spostato la propria attenzione verso le
influenze di lungo periodo, soprattutto quelle che si esercitano non più sul
singolo individuo ma sull'intero sistema sociale o su parti di esso"
(Wolf, 1992, 48).
Aggiunge
Wolf che tale indirizzo non costituisce una novità. Si tratta piuttosto del
risultato di una "storia tramandata". La novità si deve alla
scomparsa nella letteratura mediologica degli studi sul potere dei media. E poi
non è così chiaro che i nuovi paradigmi di ricerche sugli effetti a lunga
portata abbiano raggiunto buoni risultati.
Si
è acquistata la consapevolezza che "le comunicazioni non mediano
direttamente il comportamento esplicito; piuttosto esse tendono a influenzare
il modo con cui il destinatario organizza la propria immagine
dell'ambiente" (Roberts, 1972, cit. in Wolf, 1984, 138). In altre parole,
l'influenza non sarebbe diretta, ma un po' come la pressione osmotica o come la
pressione atmosferica che ci avvolge senza che ci rendiamo completamente conto
della sua presenza.
Cosa
è cambiato? È cambiato il punto di vista. Non si cercano più cambiamenti sul
piano della condotta, non si indaga più sui mutamenti di opinioni, valori,
comportamenti e attitudini. Si esamina piuttosto l'effetto cognitivo. Si
osserva l'influenza sul sistema delle conoscenze che l'individuo forma come
risultato del consumo dei media o, detto con più precisione, come effetto della
fruizione dei testi offerti dai media.
È
cambiato pure il quadro temporale: non si cercano più effetti puntuali legati
all'esposizione al singolo messaggio, ma effetti cumulativi, sedimentati nel
tempo (Wolf, 1984, 138).
Si
potrebbe dire che l'interesse sugli effetti dei media si è spostato verso la
"cultura mediatica" &emdash; il termine di cultura mediatica
venne coniato da Hans Mattias Keplinger (1975) &emdash; come ambiente
creato dai media che influisce sul sistema cognitivo dei soggetti, sugli altri
sottosistemi sociali e sull'intero sistema sociale. In particolare, nel
rapporto fra l'azione ripetitiva e costante dei media e l'insieme di conoscenze
sulla realtà sociale del singolo individuo, bisogna tenere conto di tre fattori
caratterizzati dalla Neumann come cumulazione, consonanza e onnipresenza (1993,
143-151). La cumulazione fa riferimento alla ripetitività delle informazioni su
un tema che lo fa diventare rilevante e presente, perciò, nella
"agenda" dei media e, di conseguenza, nella "agenda" del
pubblico (Dearing and Rogers, 1996, 53). La consonanza riguarda la somiglianza
dei media nel trattare le "issues" come risultato di numerosi fattori
(tra essi il fatto di condividere le "routine" professionali, come ha
messo in rilievo tutta la ricerca del newsmaking). L'onnipresenza ha a che
vedere col concetto di "clima di opinione": il pubblico finisce per
sapere ciò che è pubblicamente noto.
Ciò
che i media rendono visibile del mondo finisce per costituire il mondo stesso
dei soggetti, il che suggerisce un enorme potere indiretto dei media.
Sembrerebbe che la cultura mediatica si intrecci col mondo soggettivo degli
individui, al punto che non si possa più distinguere l'una dell'altro.
"quanto
più si studia la questione, più difficile sembra valutare gli effetti dei mezzi
di comunicazione (...) L'influenza dei mezzi è prevalentemente inconscia. La
gente non è in grado di informarsi su quanto accade, piuttosto mescola le
proprie percezioni dirette e le percezioni filtrate dagli "occhi" dei
mezzi di comunicazione in un tutto indivisibile, che sembra trarre origine dai
loro pensieri ed esperienze" (Noelle-Neumann, 1993, 168)
Insomma,
si può concludere sommariamente che il cerchio della ricerca sugli effetti dei
media si è chiuso (Shanto Iyengard, 1997, 215):
"La
preoccupazione iniziale sulla vulnerabilità dei votanti alla propaganda
elettorale aprì la strada alla scoperta delle "conseguenze minime".
La ricerca sugli effetti fu ringiovanita da concezioni più modeste
sull'influenza dei media, come i paradigmi dell'agenda setting e del priming. E
man mano che questi paradigmi sono maturati, la discussione sulle
"conseguenze massicce" si è riaccesa".
Effetti disinformativi d'insieme
La perdita dell'esperienza del reale e il
disorientamento valoriale:
Qui
faccio riferimento soprattutto all'influenza dei contenuti informativi. È stata
meno studiata, senz'altro, l'influenza della fiction e dei contenuti di
intrattenimento. In particolare, recentemente preoccupa di più l'influenza
delle rappresentazioni della violenza sia nella fiction che nell'informazione.
Le seguenti osservazioni di Bettetini si riferiscono all'insieme dei prodotti
della comunicazione massmediale, e ritengo che servano ad entrambe le categorie
di testi, informativi o di fiction, e che riguardino due tipi di effetti di
carattere psicologico e morale: la perdita dell'esperienza del reale e il
disorientamento valoriale:
"La
pervasione dei media, più coinvolgenti per quanto riguarda la sfera affettiva e
immaginativa, rischia di annullare &emdash; attraverso una costante
proiezione interiore in cui tutto è facile, tutto è spiegato e offerto, tutto è
disponibile e potenzialmente ripetibile &emdash; le dimensioni di unità,
identità, stabilità dell'uomo come soggetto che si mette in gioco, che rischia,
che sbaglia e impara attraverso i propri errori. Manca la dimensione di storia
intesa in senso forte come unicità e irripetibilità dell'evento, che
&emdash; anche nel suo piccolo &emdash; è necessariamente decisiva:
vige invece la continua possibilità del disimpegno e della replica deresponsabilizzante"
(Bettetini, 1997, 101)
"Nell'ambito
dei media la coesistenza di principi valoriali e di modelli di comportamento
molto diversi &emdash; quando non contraddittori &emdash; sembra
avvenire senza conflitti, senza drammi, come opzioni sempre reversibili e
intercambiabili, se non addirittura complementari. Ciascuno di essi è
presentato come assoluto, nel suo senso etimologico di sciolto, isolato dal
contesto, e dunque mai contraddittorio né gerarchizzabile. I valori sembrano
perdere così la loro capacità di agire come criteri di giudizio e di
valutazione del comportamento"(Bettetini, 1996)
Rispetto
a questo secondo fenomeno di "stordimento", una nota giornalista,
Pilar Urbano, rispondeva ai biasimi rivolti a Giovanni Paolo II da alcuni
settori dei media in occasione delle osservazione critiche fatte dal Pontefice
su alcuni effetti perversi della tv quando diffonde modelli valoriali
disorientativi (2) , adoperandoli così come "specchi deformanti di un
mondo deformato":
"Suvvia,
non facciamo gli ipocriti! I mass media occidentali pubblicizzano,
quotidianamente, il fascino della droga, l'attrattiva dell'amore gay, la
seduzione del lusso edonista ed egoista della "jet society";
raccontano i morbosi particolari del violento sottobosco della delinquenza, del
crimine, della bestialità sessuale...; conferiscono legittimità alla poligamia
ed ai matrimoni tra coppie omosessuali; confezionano il mito dello yuppy,
speculatore in borsa e uomo di mondo nella vita, tessono l'elogio al
"coraggio di abortire"; descrivono come eroica la figura del suicida
(si tratti pure di un Allende, o di un Pavese, o di un ribelle che fa lo
sciopero della fame, o di un profeta del cosiddetto heavy rock, o di uno
scolaro bocciato); elevano omaggi da apoteosi alla stupidità blasfema ed oscena
di cantanti come Madonna o Mick Jagger... Allora, colleghi, diciamolo
chiaramente: è successo che un giorno tu, un altro io, abbiamo finito per
trasformarci, pian piano, in specchi deformanti di un mondo deformato" (El
Mundo).
Disinformazione per overdose
È
stato sottolineato molte volte l'effetto paradossalmente disinformativo che ha
l'overdose di notizie, caratteristica della società dell'opulenza informativa:
ce n'è talmente tanta che abbiamo l'illusione di essere informati, quando in
realtà mancano criteri di selezione, percorsi-guide che ci consentano di
costruire sentieri di senso nel bosco dell'accumulazione di notizie, dati, e
anche pseudoinformazioni (Wurman, 1987; Revel, 1988; Galdón, 1994; Bettetini,
1997). Come esempi dell'overdose d'informazione vorrei menzionarne due:
"Ogni
giorno si registrano circa 20 milioni di parole di informazione tecnica. Un
lettore capace di leggere 1.000 parole al minuto avrebbe bisogno di un mese e
mezzo leggendo otto ore su ventiquattro per aggiornarsi soltanto sulla
produzione quotidiana, e alla fine del periodo sarebbe rimasto indietro 5,5
anni nelle sue letture" (3).
"Un
giorno feriale qualunque il New York Times contiene più informazioni di quanta
potrebbe arrivarne a conoscere un cittadino medio durante la sua vita
nell'Inghilterra del XVII secolo" (4).
Ebbene,
mentre la disponibilità d'informazione cresce esponenzialmente, la
disponibilità ricettiva del soggetto umano si mantiene costante, quando non
decresce, perché questa dipende dalla qualità della sua educazione umanistica.
La
rappresentazione della violenza nei mezzi di comunicazione sociale meriterebbe
una trattazione a sé, tenendo conto dei numerosi studi fatti e la ricorrenza
del problema fra gli studiosi di diversi campi. C'è un altro effetto, meno
studiato, che riguarda la coscienza della sessualità e la maturazione interiore
dei giovani in particolare e sul quale vorrei soffermarmi seppure brevemente
con un richiamo a Bettetini. La rappresentazione della sessualità nei media
avviene di solito, purtroppo, come "esteriorizzazione e dissociazione del
corpo, che crea non poche difficoltà ai giovani e agli adolescenti. In loro,
infatti, deve avvenire l'interiorizzazione del proprio essere uomo e donna, che
richieda la nascita e la difesa dell'intimità, tempo e spazio per la
riflessione e la presa di coscienza del proprio ruolo e la
"mentalizzazione" della propria sessualità. Invece, i media giocano
su una continua e superficiale stimolazione del desiderio sessuale, senza
stabilità, senza oggetto: propongono specchietti, simulacri che annullano le
dimensioni personali, relazionali, affettive, generative, creative della
componente sessuale e ostacolano proprio quella maturazione interiore appena
ricordata" (Bettetini, 1997, 101).
Limitazioni del ricerca sugli effetti
sociali dei media
Ancora scarsa: Contrariamente a quanto si potrebbe aspettare, la
ricerca sugli effetti sociali dei media è ancora molto scarsa: "In
un'analisi dei contenuti di quattro riviste di scienze sociali tedesche e due
britanniche, si è trovato che su 2.640 articoli pubblicati fra il 1970 e il
1984, meno dell'1% si occupavano degli effetti dei media (...) si fa fatica a
capire come gli effetti dei media sia stato un tema così dimenticato. Dà la
sensazione che si tratti di un tema tabù" (5).
Insufficienze dei disegni di ricerca: Alcuni autori accentuano l'attenzione sulle
mancanze concettuali dei disegni di ricerca. Così van Dijk evidenzia che
"sebbene si sia prestata molta attenzione al tema centrale degli effetti,
comparativamente se ne sono eseguiti pochi sulle principali condizioni di
questi effetti, come, ad esempio, i processi di lettura, la rappresentazione
nella memoria e le strategie di recupero dell'informazione giornalistica"
(van Dijk, 1990, 200).
Difficoltà obbiettive: Risulta molto difficile studiare gli effetti a
lungo termine dei media poiché non si può isolare, individuare, il legame tra
esposizione ai media ed effetto nell'intreccio di relazioni e fattori che
incidono sulle persone in un arco di tempo lungo. Non si può rintracciare in
modo univoco la "fonte" dell'influenza. "Tanti altri mutamenti
sociali accompagnano la specifica influenza della comunicazione di massa da
quella attribuibile all'incremento dell'alfabetizzazione, all'urbanizzazione,
allo sviluppo dei partiti politici o all'azione concertata di mobilitazione
della gente" (Lang-Lang, 1981, 667).
Limiti naturali dell'influenza dei media: L'idea di "cultura mediatica" fu
anticipata da Lippmann, che vide acutamente la differenza fra le percezioni
delle persone provenienti dalla propria esperienza e quelle provenienti di
altre fonti, specialmente i mezzi di comunicazione. L'osservazione che i media
hanno un forte impatto quando presentano conoscenze che esulano dall'ambito
dell'esperienza diretta dello spettatore o lettore è stata accettata senza
discussione. Anche nell'informazione religiosa accade lo stesso: meno
conosciuto è l'oggetto, maggiore risulta l'impatto della presentazione dei
media (Campiche, 1997).
La
nostra comprensione del mondo, a mio modo di vedere, si basa in realtà su pochi
giudizi chiave che procedono da esperienze ricche di "densità" umana,
oppure sulla riflessione e lo studio lungo e sistematico di qualche problema
"teorico" (si dice che si ha una idea prima dei 35 anni e poi si vive
in base ad essa). Il resto, ad esempio la cultura vicaria dei media, cade
presto nel dimenticatoio. Ciò spiega perché l'opinione pubblica, come riflesso
dell'opinione pubblicata, è così effimera e fugace. La quantità ingente di
dati, notizie, idee che circolano nella società è materialmente impossibile da
seguire e da assimilare. Lo sforzo di attenzione e conoscitivo, se diretto
intenzionalmente a tutto ciò che c'è in giro, sarebbe così gigantesco da
ammalarcisi. L'individuo e la società, per fortuna, stabiliscono sistemi di
sopravvivenza per risparmiare gli sforzi di attenzione e di interpretazione
dell'intorno pubblico e sociale (Wright, 1959): di solito si delega ai media
ciò che si trova oltre le nostre conoscenze, si selezionano uno o più temi di
interesse che non si delegano, si consuma soltanto "intrattenimento"
dai media, ecc.
Note
(1)
Questa valutazione riassuntiva della storia della ricerca sugli effetti sociali
dei media può essere rimandata a tutta la manualistica all'uso: Wolf (1984),
McQuail (1987), De Fleur e Rokeach (1989), Mattelart (1995), Lucas Marín
(1997), per citare alcuni più noti.
(2)
M. WOLF, Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani, 1992.
(3)
Giovanni Paolo II non fece altro che anticipare gli stessi giudizi ed argomenti
che Karl Popper avrebbe usato posteriormente in un saggio molto noto, del 1984,
Televisione, cattiva maestra. In Italia questo saggio fu pubblicato insieme ad
un testo, pure ben noto, di John Condry. Vi si cita profusamente il pensiero di
Giovanni Paolo II nei riguardi della TV. Il saggio ebbe una straordinaria
diffusione, probabilmente anche per il carattere quasi di testamento del
filosofo delle libertà individuali, poiché fu elaborato poco prima della sua
morte e con intenzione di eredità intellettuale alle successive generazioni.
Per fortuna di Popper, le sue dure critiche verso la TV non sollevarono biasimi
degli stessi settori dei media.
(4)
Methods for Satisfying the Needs of the Scientist and the Engineer for
Scientific and Technical Communication, Hubert Murray Jr., cit. in Time,
December 9, 1996, 38
(5)
WURMAN, cit. in Time, ibidem
(6)
NOELLE-NEUMAN, Elisabeth. La espiral del silencio. La opinión pública y los
efectos de los medios de comunicación social, in "Comunicación y
Sociedad", 1993, vol. VI, n. 1 e 2, p. 25.
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FORMA DE CITAR ESTE TRABAJO DE LATINA EN
BIBLIOGRAFÍAS:
Nombre del autor, 1998; título del
texto, en Revista Latina de Comunicación Social, número 10, de octubre de 1998,
La Laguna, en la siguiente dirección electrónica (URL):
http://www.lazarillo.com/latina/a/29effetti.htm